Adoro quella ritualità spinta fatta di concatenamenti gestuali caratteristici della pratica del kata. In esso trovo uno spazio interiore nel quale esercitare la tecnica pura, veicolata da una certa condizione spirituale rivolta alla meditazione attiva. È di fondamentale importanza l’aspetto della cadenza, come descritto nell’interessante libro dal quale ho deciso di estrapolare l’articolo: <<Sono appunto tali cadenze a fornirci l’orientamento per trovare l’articolazione reciproca dei gesti>>.
L’indispensabile pratica e la ricerca della perfezione gestuale fanno del kata la radice tecnico-stilistica dell’arte marziale stessa. L’apprendimento di tale gestualità ed il corretto atteggiamento mentale con il quale ci si dedica all’esecuzione, nella sua complessa armonia, rendono a mio avviso il kata inscindibile per ogni praticante di arti marziali tradizionali.
Credo sia essenziale immedesimarsi nel kata con tutta la propria anima. In un mondo così dominato dalla falsità in ogni sua forma, il kata è per me una necessaria ed onesta opportunità di trascendimento consapevole.
Il kata
La traduzione letterale della parola kata è: forma, matrice, tipo, ecc. Il kata conferisce una struttura a molte discipline giapponesi che hanno in comune la ricerca del do. Proporrò dunque questa sintetica definizione generale del kata: si tratta di una sequenza composta da gesti formalizzati e codificati, alla cui base sta uno stato di spirito orientato alla realizzazione del do.
Sequenze che corrispondono a questa definizione possono essere osservate non solo nelle arti marziali come il kendo, il judo, il karate-do, dove esse effettivamente portano il nome di kata, ma anche in altre arti tradizionali o come il kado (composizioni floreali), il sado (cerimonia del tè), lo shodo (calligrafia) o ancora nel teatro e nella danza classica giapponese. In tutte queste discipline, nello sforzo di realizzare il kata sotto una forma perfetta si cerca di sincronizzare le tecniche gestuali formalizzate con l ostato spirituale. Nell’esercizio e nel perfezionamento del kata, il corpo, simile a un battello che viaggi seguendo un determinato percorso, tende a una fusione gestuale e psichica che sta alla base dell’apprendimento della perfezione cercata.
Nel kata tradizionale conosciamo una quarantina di kata originali ai quali vengono ad aggiungersi delle varianti. La maggior parte di questi kata comporta una quantità di movimenti compresa tra i venti e i sessanta.
I kata hanno sempre rivestito un ruolo di primaria importanza nella comunicazione delle tecniche di combattimento: infatti nei kata sono contenute tutte le tecniche classiche del karate-do.
Un kata è sempre la trasposizione codificata di un combattimento reale tra più avversari. A una situazione di partenza di volta in volta differente si agganciano tecniche d’attacco e di difesa in risposta ai presunti movimenti degli avversari.
Così come li conosciamo, i kata non sono creazione di un unico maestro, ma condensano l’esperienza accumulata nel corso di molte generazioni, e ce la trasmettono. La loro forma ci è perfettamente nota, ma il significato resta spesso incerto. Le ragioni sono svariate: nel kata ci si addestra da soli, poiché si tratta di un esercizio imperniato sui concatenamenti dei gesti; se ogni gesto è concreto, senza la presenza dell’avversario non è evidente la situazione cui esso corrisponde. Il fatto che nell’insegnamento tradizionale l’azione degli avversari non sia esplicita è deliberato: infatti si presume che gli allievi trovino da soli il significato in funzione del proprio personale progresso. Inoltre, talora le tecniche sono state trasmesse con l’intento di dissimulare ai concorrenti o a un potere oppressivo. Si può supporre che in questo caso certe parti del codice siano state volontariamente deformate per riservare il sapere ai discepoli che fossero al corrente di tali alterazioni. Da allora in poi, i gesti continuano a essere trasmessi, mentre si sono ormai perdute da tempo la maggior parte delle spiegazioni…
Tratto da “Lo zen e la via del karate” di Kenji Tokitsu.