Parole e silenzi

Quello delle parole e dei silenzi è un concetto veramente poco applicato nella società contemporanea. Nel paese in cui vivo le parole e i silenzi non sono visti di buon occhio. Nonostante esista una sorta di commercializzazione spirituale, e molte persone si siano avvicinate a pratiche più o meno interiori, rivolte principalmente al rilassamento come “cura” allo stress dei ritmi quotidiani, non è minimamente contemplato il meccanismo per il quale il respiro, abbia necessariamente bisogno (per sua natura) di un momento di inspirazione e uno di espirazione. Come per il respiro anche le parole necessitano di tale meccanismo. Oltre al parlare vi dovrebbe essere un momento di silenzio in cui si dovrebbe pensare, prima di esprimere parola. Il silenzio invece viene vissuto come qualcosa di negativo. Nella comunicazione verbale la pausa innesca subito la risposta dell’interlocutore che a sua volta, non ascolta il ragionamento dell’altro, ma impone il proprio, senza che vi sia un vero scambio tra le parti.

Al silenzio vengono inoltre associate forme di introversione o addirittura depressione, fino all’assurdo in cui la timidezza viene vista come fosse una malattia (vi rimando all’articolo https://federicomarcantoniblog.com/2020/04/14/la-timidezza-non-e-una-disabilita/).

In una società in cui il ritmo di vita è sempre più sostenuto come, di conseguenza, anche quello della comunicazione, il rischio di una saturazione veicolata da una quantità eccessiva di stimoli è già una realtà.

Così facendo si perde di vista il silenzio, fondamentale della parola e di una qualità umana che, aimè, è sempre più una rarità.

Non servono molte parole per dire la verità.

Capo Giuseppe (Nez Percé)

Il silenzio aveva un significato per il Lakota, e fare una pausa di silenzio prima di parlare serviva a dimostrare vera cortesia e a rispettare la regola secondo cui <<il pensiero precede la parola>>.

Al cospetto del dolore, della malattia, della morte o di ogni genere di sventura, e in presenza di ciò che è grande e illustre, il silenzio era un segno di rispetto. Per il Lakota era più potente delle parole.

La stretta osservanza di questo principio di buona educazione era, senza dubbio, la ragione per cui l’uomo bianco l’aveva considerato a torto imperturbabile. Il Lakota è stato giudicato ottuso, stupido, indifferente e insensibile. Era invece il più compassionevole degli uomini, ma le sue emozioni profonde e sincere erano temperate con il controllo. Il silenzio significava per il Lakota ciò che significava per Disraeli quando dichiarò che <<il silenzio è la madre della verità>>, perché dell’uomo silenzioso ci si può fidare, mentre l’uomo sempre pronto a parlare non va preso sul serio.

Capo Luther Orso in Piedi

Sioux Oglala

Tratto da “La saggezza degli Indiani d’America” a cura di Kent Nerburn.

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