Respiro primordiale

Quante volte vi sarà capitato di sentirvi dire: <<Quando sei agitato prova a fare grandi respiri vedrai che ti calmi!>>. In effetti il discorso sulla respirazione è decisamente significativo, ma nessuno vi spiega come e perché. Sappiate che solo i neonati, gli infanti e i bambini piccoli sanno respirare, poi ci si dimentica. Per tornare a respirare correttamente è necessario iniziare un percorso rivolto alla meditazione che permette di ritrovare quella sensazione di benessere antico. Questo richiede un lavoro molto profondo. Scoprirete, leggendo questo estratto, come il respiro abbia un ruolo fondamentale su molti aspetti della nostra esistenza, sia fisici che interiori. Affronterò in seguito il discorso su alcune tecniche di respirazione.

ATTENZIONE! Vorrei sottolineare il fatto che le esperienze riportate nei miei articoli sono prettamente personali e frutto di una continua ed incessante ricerca. Di conseguenza sono estremamente soggettive e non hanno alcun valore scientifico o medico.

Ecco un consiglio pratico che ho trovato molto utile come forma di rilassamento e riequilibrio energetico:

Mettetevi seduti comodi su una sedia o per terra con la schiena dritta. Cercate di mantenere una postura corretta. Le braccia rilassate e le mani sopra le gambe (se utilizzate una sedia) o per terra con i palmi rivolti verso l’alto. Inspirate con il naso, cercando di utilizzare l’addome come una camera d’aria. Proiettando l’aria verso il petto, espirate dalla bocca. L’inspirazione dura tre secondi mentre l’espirazione sei secondi. Ripetete questo esercizio per tre volte.


Una delle tecniche usate nelle arti marziali per giungere allo stato di “non mente” consiste nello spostare l’attenzione nel tanden usando la respirazione, la postura, la concentrazione del pensiero. Si tratta di un centro posto circa due dita sotto l’ombelico, vero e proprio punto d’unione con l’energia dello spirito (ki). Sia il grido che paralizza l’avversario, sia la freccia, o la spada, o la mano nuda debbono essere percepiti e funzionare come prolungamento del saika tanden. In tal modo, non è la mano ad impugnare la freccia o la spada ma l’energia dello spirito che dal tanden sorregge ogni azione. Per questo il componimento anonimo conosciuto come “Credo del samurai” afferma:

<<Non ho casa, il saika tanden è la mia casa

Non ho poteri magici, la forza interiore è il mio potere magico>>

Il tanden deve divenire l’abituale centro della coscienza, sia in movimento che in risposo, sia nella meditazione vera e propria (za-zen, “zen seduto”) sia nelle normali attività quotidiane. In tal modo, cessa la differenziazione qualitativa tra contemplare ed agire per cui l’azione diviene “meditazione in movimento”. Finché la perfetta identità tra il sedere meditando e l’agire non è stata raggiunta, la meditazione è ancora una pratica nella vita, non una pratica di vita.

[…]

V’è una relazione profondissima tra respiro e pensiero: essi si influenzano reciprocamente sicché la respirazione “alta” e irregolare rivela una mente inquieta. Il ritmo frequente e le inspirazioni poco profonde rivelano ansia e timore. Nella paura, nell’angoscia e nell’ira il respiro si strozza, l’energia si raccoglie nel plesso solare, la tensione muscolare s’accentua e l’armonia tra ki (spirito) e tai (corpo) è interrotta.

E vi è altresì una relazione intima tra respiro ed efficacia del colpo: nell’arte della spada si carica inspirando e si colpisce espirando. La lama raggiunge l’obiettivo esattamente con l’ultimo soffio dell’espirazione. Allo stesso modo, l’arco si tende inspirando. Una volta teso si espira e la freccia scocca con l’ultimo soffio senza che il pensiero ordini alla mano d’aprirsi. E il maestro spadaio alza il maglio inspirando e lo abbatte sul metallo rovente espirando. L’inspirazione è la fase passiva (yin) del ciclo respiratorio. L’espirazione è la fase attiva (yang). Nel giusto respiro l’inspirazione è profonda, l’espirazione assai più lunga e profonda ed avviene spingendo col diaframma sugli intestini. Il colpo è più efficace se raggiunge l’avversario mentre questi sta inspirando.

Se si confronta l’ideale fisico che oggi in Occidente va per la maggiore, quello del “culturista”, con la struttura fisica di un praticante serio di arti marziali appare una differenza che rivela una sostanziale diversità di pensiero. La struttura fisica dell’”occidentale-tipo” è modellata dall’orgoglio della potenza muscolare. Questa rivela, in sostanza, un preponderante senso dell’io ed un’intima debolezza: quella di dover essere sempre al centro dell’attenzione e dell’ammirazione (estetica). L’esaltazione del corpo come potenza muscolare rivela, inoltre, una totale ignoranza o sfiducia nelle possibilità di un potere inerente al corpo ma ad esso superiore.

Nella struttura fisica del bushi nessuna parte del corpo è sviluppata anormalmente rispetto alle altre. I muscoli, pur perfettamente rispondenti, non sono sviluppati ai fini d’un’estetica del muscolo ma come docile strumento dell’azione. Il petto è ampio e normalmente sviluppato. L’addome non è artificialmente ristretto. Il centro dell’equilibrio corporeo (o psichico) è tenuto basso per cui ne risulta una maggiore stabilità. L’intera figura del bushi dà l’impressione di una potenza raccolta, non ostentata, eppure misteriosamente superiore a quella puramente fisica.

Da essa traspare un senso di quiete possente ma si avverte la presenza d’una forza inarrestabile, come d’un fiume sotterraneo che scorre nelle viscere della terra, sotto la superficie di un prato fiorito.

Tratto da “L’etica del bushido. Introduzione alla tradizione guerriera giapponese” di Mario Polia.

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